giovedì 30 giugno 2016

Giuseppe Verdi e i “Vespri siciliani”

Il 30 marzo 1282, all’ora del vespro, scoppiò a Palermo una violenta insurrezione popolare contro la dominazione angioina,  che evidentemente da tempo covava nel cuore dei siciliani.
L'opera di Hayez rappresenta il momento iniziale dei vespri siciliani, la rivolta popolare che si ebbe in Sicilia nel 1282 contro la dominazione degli Angioini francesi, nata da un'offesa che, in concomitanza con la funzione serale dei vespri del 30 marzo 1282, lunedì di Pasqua, sul sagrato della chiesa del Santo Spirito, a Palermo, un soldato francese di nome Drouet arrecò ad una nobildonna che stava uscendo di chiesa al termine del suo matrimonio 

Propagatasi in breve tempo in tutta l’isola, l’insurrezione provocò l’abbandono della Sicilia da parte degli Angioini. Ciò diede modo a Pietro III d’Aragona, figlio di Giacomo I, di impossessarsi a sua volta della Sicilia, con l’aiuto, militare ed economico, delle repubbliche marinare di Venezia e Genova, nonché dell’imperatore bizantino Michele Paleologo. La guerra scoppiata tra Angioini e Aragonesi, nota come “Guerra del Vespro”, durò con alterne vicende per diversi anni, e si concluse con la Pace di Caltabellotta, firmata il 31 agosto 1302.
Con essa, la Sicilia fu assegnata a Federico d’Aragona, figlio e successore di Pietro III, alla morte del quale sarebbe dovuta tornare agli Angioini. Ma gli Aragonesi non rispettarono le clausole stabilite nel contratto, e conservarono il dominio dell’isola. Pietro III, anzi, che intanto era riuscito, grazie ad un’abile politica estera, a inserire l’Aragona in una rete di alleanze internazionale (fra cui quella con l’Inghilterra), sbarcò in Sicilia e si fece incoronare re, dando così inizio all’influenza spagnola nelle vicende storico- politiche d’Italia.
L’eroico tentativi dei siciliani, di liberarsi dal giogo straniero che li opprimeva, costituì un fulgido esempio di amore per la libertà, e ritornò di grande attualità nell’epico periodo del Risorgimento italiano. Ed ecco Verdi, che del Risorgimento stesso fu acceso fautore, accettare la proposta di scrivere una partitura di soggetto storico, per inaugurare l’Esposizione universale di Parigi!
Già dai tempi di “Nabucco”- che gli aveva aperto le porte di tanti importanti teatri- il nome di Verdi veniva automaticamente unito, nell’Italia risorgimentale, ai moti per l’unità e l’indipendenza, e perciò Cavour,  consapevole del suo peso politico,  lo aveva convinto a presentarsi candidato al primo Parlamento italiano (1861), per il collegio dell’allora Borgo S. Donnino, oggi Fidenza. Dopo un primo rifiuto Verdi accettò e fu eletto, ma frequentò la camera raramente e con irregolarità, pur essendo stato accolto, al suo ingresso al Parlamento, da un fragoroso applauso. In quell’occasione conobbe Quintino Sella, futuro risanatore delle finanze italiane.
Quando accettò di comporre “Les Vêspres Siciliennes” per l’ Opéra di Parigi, egli aveva poco più di 40 anni, e aveva raggiunto la piena maturità di uomo e di musicista, unità ad una fama ormai affermatasi anche al di là delle Alpi. Con quest’opera, composta due anno dopo “La Traviata”, su libretto di Eugène Scribe e Charles Duveyrier, Verdi  olle riaccostarsi al genere drammatico a forti tinte, nel carattere del “Grand Opéra”.



La sincerità dell’ispirazione verdiana superò facilmente l’artificiosità piuttosto pesante del libretto di Scribe, e l’opera, rappresentata il 13 giugno 1855 all’Opéra di Parigi, ebbe un tale successo, che Verdi fu ufficialmente invitato a trasferirsi definitivamente nella capitale francese, cosa che egli non accettò. L’anno successivo (4 febbraio 1856), l’opera fu rappresentata, con eguale successo, alla Scala di Milano, al titolo di “Giovanna di Guzman”.
Ricordarne brevemente la trama varrà a rammentare il messaggio patriottico del grande musicista, che veniva progressivamente arricchendo la propria tavolozza armonica e orchestrale, introducendo un’umanità di affetti che comunicava al canto passioni accese e concrete, conquistava un linguaggio sempre più moderno ed aggiornato, affinava la scrittura vocale,  seguiva lo sviluppo civile e culturale della società italiana in uno dei momenti più epici e delicati della sua storia.
Preceduta da una solenne e famosa “Sinfonia”, il primo atto presenta Elena (sorella del duca Federico d’Austria, già giustiziato dai francesi) Arrigo, giovane siciliano,e Giovanni da Procida, esule appena tornato a Palermo; essi cercano l’occasione per stimolare una rivolta popolare contro i francesi. Si inserisce in tale contesto la romanza più famosa dell’opera, “O tu, Palermo, terra adorata”, con cui, all’inizio del secondo atto, entra in scena appunto la figura di Procida (basso). Ispirata a commossa tenerezza, la romanza prescinde momentaneamente dell’ “animus” rivoluzionario del personaggio, per dar voce piuttosto alla commozione dell’esule, che, tornando a casa, rivede finalmente la patria! Una vera squisitezza armonica è costituita, nella sezione centrale, dall’ impercettibile trapasso della tonalità di sol bemolle a quella di fa maggiore (e viceversa), senza che alcuna interruzione si noti nel corso della melodia.
Prerogativa del “Grand Opéra” erano i grandiosi concertati a più voci, senza i quali l’opera parigina non concepiva un “degno” finale dell’atto. Si ha così lo spettacolare finale del secondo atto, fondato su un contrasto di indubbia efficacia teatrale: mentre, sulla spiaggia, i siciliani, offesi per il torto delle loro spose, manifestano sentimenti di indignazione di vendetta, avanza nel mare una splendida imbarcazione, dove ufficiali francesi e nobildonne sia francesi che siciliane si divertono, adagiati su morbidi cuscini,cantando una dolce barcarola.
Ma, al di la di questo scintillante finale, autentica “chicca” da Grand Opéra, bisogna fermare l’attenzione anche sulla scena che lo precede, anch’essa un vasto insieme vocale, con un “concertato d’azione” di grande originalità. È la scena della costernazione in cui restano i siciliani dopo che i soldati francesi hanno portato via le loro donne. Qui Verdi rivela la conquista di un forte realismo drammatico della parola, più noto come “uso della parola scenica”.
Con i primi due atti dell’opera, si esauriscono i laboriosi, e talvolta macchinosi tentativi di descrizione ambientale e di presentazione dei personaggi. Le prime tre scene del terzo atto mantengono infatti la presenza costante di un personaggio, Guido di Monforte, governatore francese di Palermo, padre di Arrigo, ma ignoto al figlio, del quale egli vorrebbe conquistarsi l’affetto, mentre l’odio di parte li separa. Nella lunga e affollata “galleria” dei padri verdiani, spesso strumento di rovina per i figli (come Giacomo per Giovanna d’Arco, come lo stesso Rigoletto per Gilda o Alfredo Germont per violetta, come il Marchese di Calatrava, Filippo II o Amonasro), Monforte si inserisce con una propria nobiltà. Il personaggio esce da ogni schematizzo melodrammatico, per acquisire fierezza e indipendenza caratteriale, spessore e complessità psicologica.
Arrigo, saputo di essere figlio di Monforte, durante un drammatico confronto, avverte il padre della congiura contro i francesi, e il complotto fallisce. Elena, Procida e gli altri congiurati sono condannati a morte. Ma successivamente Monforte, implorato da Arrigo, che gli si rivolge finalmente in tono filiale, non solo perdona i congiurati, ma acconsente anche alle nozze di Elena col figlio. Ella, apprendendo da Procida che la campana nuziale sarà il segnale dell’insurrezione, soffre all’idea di essere causa di tanta strage e vorrebbe rinunciare all’amore di Arrigo. Ma è troppo tardi: davanti alla storica Cattedrale di Palermo, i “Vespri” si consumano, violenti e sanguinosi.
Così Verdi- dopo molti ripensamenti, nel corso dei quali fu più volte tentato di rinunciare alla stesura dell’opera, che non sentiva a se particolarmente congeniale, dopo la creazione di figure immortali come Rigoletto, Violetta o Azucena, capaci di vivere di vita propria- dava vita ad un nuovo capolavoro, in cui la grandiosità tutta francese dell’effetto scenico si fonde mirabilmente con l’umanità sofferta dei personaggi principali, la cui “sincerità” è sottolineata da melodie immortali e da vivo senso patriottico. 

Wanda Gianfalla Anselmi
Pescara Giugno 2016



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