sabato 27 febbraio 2016

Primo articolo della rubrica dedicata ai compositori siciliani a cura di Wanda Gianfalla Anselmi




In qualità di membro fondatore dell'Associazione Culturale Libere Note di Palermo, ho pensato di inaugurare una sorta di rubrica mensile, a sfondo culturale e musicale, volta a mettere in luce alcuni aspetti della cultura siciliana in genere, e palermitana in particolare, che abbiano lasciato traccia nella storia. L'idea è nata in me sia per il carattere stimolante dell'iniziativa, in un momento di prevalente “buio” culturale, sia per l'affetto pluriennale e fraterno che nutro nei confronti di LORETO INSINNA, presidente dell'Associazione stessa, e di tutta la sua famiglia.
Ho pensato di dedicare il primo piccolo lavoro alla “Scuola poetica siciliana”, che nacque alla corte di Federico II di Svevia, spesso significativamente indicata come la “Magna Curia “.
Il personaggio, di Federico II, immortalato anche da Dante, nacque a Jesi, nelle Marche, nel 1194, figlio di Arrigo VI e di Costanza d' Altavilla. Re di Sicilia e poi di Germania, nel 1220 ottenne dal nuovo papa Onorio III, la corona imperiale, nonostante la tradizionale ostilità pontificia all'istituzione imperiale.
Scomunicato nel 1226, guidò due anni dopo una spedizione in Terrasanta, in cui recuperò Gerusalemme, trattando personalmente con il Sultano. In Germania lasciò grande autonomia alla feudalità a scapito della piccola nobiltà, e pose il centro della sua politica in Sicilia, cui diede un governo burocraticamente accentrato e un “corpus legum” che va sotto il nome di “Costituzione di Melfi”(1231).
Egli aggregò intorno a sa molteplici forme di sapere ad esperienze di scritture legate a lingue e tradizioni di diversa origine.
La sua corte fu prevalentemente itinerante, poiché seguiva l'imperatore in tutte le sue imprese militari e diplomatiche.
Federico diede un forte impulso alle conoscenze tecniche e scientifiche e favorì lo svolgersi di una letteratura poetica latina, di una cultura filosofica e figurativa di impronta arabo-normnna, di un sapere greco-bizantino e di una cultura tedesca. Autentico esempio di Cosmopolitismo” ante litteram”, meritò non a caso l'epiteto di “STUPOR MUNDI”!
Nel vivacissimo ambiente della Palermo del tempo, meravigliosa nella sua ricchezza monumentale, si sviluppò una nuova LIRICA CORTESE IN VOLGARE. Gli autori furono in prevalenza funzionari del governo imperiale, o personaggi comunque legati alla struttura giuridico-amministrativa della corte. Essi decisero di trasformare, nel “volgare siciliano” i modelli della lirica provenzale e francese dei Trovatori e Trovieri. Dalle piccole corti di Provenza, la poesia amorosa passava così ad una corte di più vaste dimensioni e ambizioni, perdendo i riferimenti della vita quotidiana, per trasferirsi su un piano più astratto, più nobile ed intellettuale.
La lirica siciliana, che svolge essenzialmente funzione sociale, pone al centro la donna come “domina”, da servire con dedizione, ma senza quel sofferto pathos della distanza, tipico invece di alcuni poeti provenzali.
Nel cantare il suo rapporto con la donna, il poeta accresce il proprio valore, mentre il suo impegnarsi nella fedeltà lo rende socialmente più degno.
La forma poetica più usata, in tal ambito è la canzonetta; il primo e maggiore esponente della Scuola poetica siciliana fu il notaro GIACOMO (o JACOPO) da LENTINI, funzionario imperiale, probabile inventore del “Sonetto”, sottile sperimentatore, dotato di acutissima “sapienza” sia metrica che retorica.
Tra i numerosi poeti “siciliani”- non tutti obbligatoriamente nati nell'isola, ma accomunati dagli stessi ideali estetico -letterari- vanno ricordati: lo stesso Federico II (autore del “DE ARTE VENANDI”, un trattato sulla caccia), il suo sfortunato figlio naturale RE ENZO, fratello di Manfredi e vicario imperiale, vinto dai bolognesi a FOSSALTA (1249) e da loro tenuto prigioniero fino alla morte. Ed ancora: il celebre PIER DELLE VIGNE (logoteta dell'imperatore, morto suicida nel 1249, dopo essere stato ingiustamente accusato di tradimento e imprigionato), GUIDO DELLE COLONNE, giudice messinese, STEFANO PROTONOTARO, i fratelli JACOPO e RINALDO D' AQUINO e GIACOMO PUGLIESE.
La morte di Federico II, nel 1250, e il conseguente crollo della Casa di Svevia, sfaldarono a poco a poco la gloriosa corte meridionale e distrussero quell'ambiente di raffinata poesia. Negli anni compresi tra il 1250 e il 1260, si ebbe un vero e proprio”trapianto” della lirica volgare nelle nuova Italia comunale, e in particolare in Toscana, dove spiccò la figura di GUITTONE D'AREZZO, che ebbe fama e fortuna di autentico caposcuola.








La parodia “dell'amore cortese”
Il “Contrasto di Cielo D' Alcamo

Conservato soltanto nel Codice Vaticano Latino n. 3793, ma noto anche a Dante, il Contrasto di CIELO( forse diminutivo di Michele) D'ALCAMO “ROSA FRESCA AULENTISSIMA”, anch'esso noto in ambiente siciliano databile negli anni 1230-1240, vede il contrapporsi di forme auliche e di situazioni del genere comico-grottesco.
Esso è costruito come un dialogo tra il giullare ed una fanciulla, che prima reagisce duramente al corteggiamento dell'uomo , ma poi cede alle sue insistenze.
L'autore rivela un eccezionale dominio delle formule linguistiche “cortesi”. La composizione è una parodia dell'amor cortese, in cui balzano in primo piano il desiderio sessuale, la menzogna, l'inganno, l'aggressività, e i modesti oggetti della vita familiare e quotidiana.

Wanda Gianfalla Anselmi


 Pescara, febbraio 2016