mercoledì 23 novembre 2016

LA DODECAFONIA



Anche se la “teoria dei dodici suoni” è ormai un “ classico” mi fa piacere ricordarne il significato, a chi volesse accostarvisi o riviverne la fondamentale funzione storica.
Gli anni del secondo conflitto mondiale (1939-'45) segnano in netto distacco tra i prodotti delle generazioni musicali che avevano operato nella prima metà del XX secolo , e quelli dei musicisti nati dopo il 1920. In altra sede, si è accennato all'importanza che, negli anni Cinquanta del Novecento, assunsero i Corsi estivi di Darmstadt ( “FERIENKURSE FUR INTERNATIONALE NEUE MUSIK”),
laboratorio internazionale organizzato da STEINECKE per incontri, discussioni ed esecuzioni di composizioni radicalmente avanguardistiche, sia nella struttura che nella grafica e nella tecnica strumentale.
In tale contesto, l'esperienza dodecafonica occupò un posto di primo piano, grazie anche all'azione divulgativa già precedentemente intrapresa da RENE' LEIBOWITZ (musicologo, direttore d'orchestra e compositore di origine polacca, ma morto a Parigi nel 1972), che, da accanito sostenitore della musica dodecafonica, aveva pubblicato, alla fine degli anni Quaranta, importanti scritti sull'argomento (“SCHOENBERG ET SON 'ECOLE”, 1946 e “INTRODUCTION 'A LA MUSIQUE DE DOUZE SONS”, 1949), presentando e dirigendo personalmente in tutto il mondo opere di ARNOLD SCHOENBERG e dei più grandi discepoli della sua “scuola”. Vale forse la pena ricordare che SCHOENBERG fu l'iniziatore e il protagonista delle più radicali rivoluzioni mai avvenute in campo musicale; data, poi,la sua spiccata vocazione alla teoria e all'insegnamento,egli assunse “naturalmente”, e conserva, un'incontestata funzione di caposcuola, vivificata e “illustrata”, a sua volta, da una imperiosa creazione artistica.
Partito dall'esperienza dell'arricchito cromatismo post wagneriano, SCHOENBERG- attraverso il travaglio della dissoluzione di ogni nesso armonico e della tonalità- ricostruì un nuovo ordine , basato sull'organizzazione seriale dei dodici suoni della scala cromatica, procedendo con una inflessibile logica, fatta anche di rigorosa tensione morale e di profondi valori di fede, che alimentarono la sua vita e ne vivificarono l'impegno. Anche se non usò mai il termine “ATONALE”, da lui ritenuto improprio, né il termine “DODECAFONIA” ( sostituito dall'espressione” metodo di composizione con dodici suoni, liberamente scelti dall'autore, in relazione solo tra loro”), egli procedette, di fatto, alla disgregazione di quel sistema ormai lacerato, corroso e obsoleto che era la “tonalità”, e alla conseguente emancipazione della dissonanza, organizzando però, contro ogni pericolo di anarchia, gli elementi di un nuovo linguaggio, nel quale le dodici note del “totale cromatico” vengono proposte e disposte in tutte le possibili combinazioni “logiche” della serie: verticali, orizzontali, inverse,retrogradi, retrogradi delle inverse e infine anche speculari e circolari, come nella gigantesca opera “MOSES UND AARON”, rappresentata postuma a Zurigo nel 1957.
Tra le composizioni ispirate a tali presupposti compositivi (in cui nessun suono deve prevalere sugli altri, per non rischiare che esso torni a ricoprire il ruolo della tonica!), spiccano le “SERENATE” op. 24, la “SUITE PER PIANOFORTE” op.25, il “WALZER” op.23, “il QUINTETTO” per fiati op.26, e sopratutto le “VARIAZIONI per ORCHESTRA “, op. 31 del 1928.
Anche il suo modo di trattare la voce, di solito accompagnata da pochi strumenti, fu innovativo. Egli adottò infatti lo “SPRECHGESANG” cioè un tipo di emissione tra il parlato e il cantato, con assoluto rispetto del ritmo, ma con continue oscillazioni tra il grave e l'acuto che creano un'atmosfera allucinata, di incerta e solitaria inquietudine, carica di suggestioni emotive. Considerando,poi, fondamentalmente l'arte come veicolo sentimenti e di forme irrazionali che agitano l'uomo, SCHOENBERG si colloca consapevolmente nell'angosciosa realtà della corrente espressionistica, che trova peraltro abbondante riscontro anche nel clima allucinato dei suoi dipinti.

Due grandi discepoli lo seguirono nella sua coraggiosa “avventura” musicale, ALBAN BERG e ANTON WEBERN, ucciso, quest'ultimo, casualmente e per errore da un soldato americano: due talenti,peraltro,
assai diversi tra loro e assolutamente originali: più lirico ed espressivo l'uno (cui non furono estranei recuperi tonali), più essenziale ed aforistico l'altro. La comunanza di intenti fra i tre compositori, la loro amicizia e la stretta collaborazione , hanno indotto i critici a definirli globalmente la “ SCUOLA DI VIENNA”.
-SCHOENBERG si sforzò sempre di adattare i principi della serialità all'esperienza di comunicare con il pubblico; opere dai toni particolarmente forti, come l'”ODE A NAPOLEONE” (contro la tirannide) o la cantata “UN SOPRAVVISSUTO DI VARSAVIA” ( rievocante lo sterminio nazista del ghetto di Varsavia), lo confermano ampiamente.

-SCHOENBERG, nato a Vienna nel 1874, si era trasferito a 17 anni a Berlino, dove nel 1925 succedette a BUSONI, come professore della cattedra superiore di composizione presso l'Accademia Prussiana delle Arti. Dopo il 1933, anno in cui, in Germania, Hitler prese il potere, fu allontanato dall'insegnamento, ed emigrò con la famiglia negli USA, come moltissimi altri protagonisti del mondo dell'Arte. Ma prima di lasciare definitivamente l' EUROPA, egli, benché battezzato cattolico, decise in segno di protesta contro il nazismo, di riabbracciare la religione ebraica.
Nel 1935 fu invitato ad insegnare presso l'Università della California e cinque anni dopo ottenne la tanto sospirata cittadinanza americana. Continuò a comporre fino agli ultimi giorni di vita.
Morì a Los Angeles nel 1951.    


Wanda Gianfalla Anselmi
Pescara Novembre 2016