venerdì 7 ottobre 2016

Debussy e L'Impressionismo



Il giovane Debussy


Nella seconda metà dell’Ottocento, il progressivo declino del melodramma fu seguito da un auspicato rinnovamento della musica strumentale, sancito dalla fondazione, nel 1871, della “Società Nazionale per la Musica Francese” e, successivamente (nel 1894), dalla “Schola Cantorum”, istituzione scolastica che, in una più o meno esplicita contrapposizione al Conservatorio, rivoluzionava lo studio del canto gregoriano.
Fondatori o membri della “Società Nazionale” francese furono musicisti illustri, quali il “wagneriano” César Franck, il più “accademico” Camille Saint- Saëns e Gabriel Faurè, direttore del Conservatorio di Parigi, “artista della squisitezza e del buon gusto”.
Contemporaneamente, sempre nella capitale francese, si svilupparono, rispettivamente nella pratica della pittura e della poesia, due movimenti artistici che ben presto si rivelarono momenti fondamentali della cultura umanistica europea: l’Impressionismo e il Simbolismo.
L’Impressionismo, che trovò voce ed espressione in Manet, Monet, Degas, Renoir, Pissarro ed altri, valorizzava l’impressione immediata e istantanea dell’artista di fronte il soggetto, spesso ritratto “en plen air”, in condizioni ideali di luce, volto a valorizzare e a rendere vitale il colore, dotato di differenti vibrazioni nelle diverse ore del giorno. L’occhio del pittore coglieva la sensazione visiva di un insieme di colori, non tanto fusi e sfumati, quanto avvicinati e sovrapposti sulla tela, a mò di macchia.


Le ninfee” di Manet


In poesia, il coevo movimento del Simbolismo, rompendo i tradizionali nessi logico- sintattici, mosse i primi passi con le “Correspondences” di Charles Baudelaire, che proponevano ed evocavano immagini poetiche assai ricche di suggestione, tali da essere percepite con tutti i sensi. Nella sua “Art Poétique”- non a torto considerata il “manifesto” della nuova tendenza poetica- Paul Verlaine collocò all’apice dell’Arte la musica, assegnando al resto una semplice funzione di “letteratura”.
La musique avant toute chose. Tout le rest est litérature…”
I Simbolisti infatti ( Verlaine, Rimbaud, Mallarmé, Maeterlinck, Claudel, Valéry) teorizzarono una poesia dalla forte valenza fonosimbolica, da anteporre i diretti valori significanti, in grado da evocare ricordi e suggestioni emotive che, nascendo dalla sensazione fisica del vago e dell’indeterminato, tendessero a farsi musica, realizzando così un magro punto di incontro tra percezione fisica e uditiva, in nome di tutto ciò che è tenue, intimo, prezioso e raro. L’uso del verso libero, non condizionato da obbligo di rime o da strutture metriche precostituite, contribuì notevolmente al raggiungimento del nuovo fine poetico.
Dotato di una sensibilità per natura assai viva e coloristica, Achille Claude Debussy ( Saint Germain – en Laye, 1862- Parigi, 1918) si fece interprete, in musica, di tali nuove tendenze artistiche, dando vita ad un’arte che coglie sensazioni preziose ed evanescenti, profumi, sottili ebbrezze e “modi di essere” fugaci e cangianti della natura.
Essa rifiuta ogni schema formale, ogni regola “costituita” di composizione, le norma “grammaticali” della tonalità, ogni ordine imposto da “regolari” modulazioni. Le armonie, strane ed inusitate, si giustappongono senza preparazione, rinnovandosi continuamente ed obbedendo alla momentanea ispirazione, mentre i ritmi si rinnovano senza sosta, moltiplicandosi e incrociandosi in un fascinoso gioco, cangiante e mobilissimo.
La voce, sia nell’opera (“Pelléas et Mélisande”, 1902, assoluto capolavoro del teatro musicale moderno, su libretto di Maurice Maeterlinck), sia nelle numerose liriche, si snoda come un’ininterrotta declamazione, duttile e morbida, basata su piccoli intervalli melodici e sorretta da una soffice trama sinfonica, cui è affidato lo sviluppo melodico, accompagnato a sua volta, da un tessuto armonico le cui attrazioni tonali sono neutralizzate o rese ambigue dall’uso delle scale modali, esatonali, pentafoniche e per toni interi.
Per la lotta combattuta, già all’interno del Conservatorio di Parigi, contro ogni dogma accademico ed ogni valore “formale” prestabilito, per il gusto di un discorso musicale assaporato nei suoi singoli momenti, indipendentemente da un “prima” e un “dopo”, l’arte di Debussy è stata battezzata e consacrata col nome di “Impressionismo musicale”, al fine di stabile ed evidenziare un parallelismo atta a collegarla con il coevo movimento pittorico. Tale definizione, tuttavia, seppure valida per una fase dell’opera del musicista [fase che si conclude con il “Pelléas” e comprende, come opere orchestrali, il “Prélude à l’après-midi d’un faune”, con il suo splendido “a solo” iniziale per flauto, e i “Nocturnes” (1897- 1899) e tra le opere vocali, i “Cinc poémes de Baudelaire”, le “Fêtes Galantes” su poesie di Verlaine, le “Chansons de Bilitis” su poesie di Louys e il giovanile “Quartetto d’archi” (1893)], non può essere applicata a tutta la produzione del grande musicista francese, il quale, a partire dai primi anni del ‘900, si accostò ad un senso più classico della costruzione, accentuando anche la precisione e la netta chiarezza, propria della produzione clavicembalistica francese. Tale passaggio è contrassegnato da colori meno evanescenti e costruzioni più solide, rispetto alle tinte trasparenti e sfumate ed agli “agglomerati sonori” dei precedenti lavori cameristici, strumentali e sinfonici. Nelle opere della maturità, Debussy pervenne infatti la totale rifiuto del sistema gerarchico dell’armonia tonale, e ad un uso degli strumenti sempre più attento e selezionato, con in’evidente predilezione per la fluidità sonora dell’arpa ( con gli armonici e i “glissando”), la celesta, lo xilofono e gli ottoni, cui vengono tuttavia richieste ed affidate sonorità ovattate e colori di fondo, più che i classici “squilli”.
L’ideale melodico di Debussy evita ogni appassionata effusione del sentimento, identificandosi piuttosto nell’arabesco, in notazioni raffinate e sottili, ora fantastiche, ora drammatiche, ora leggendarie, ora paesistiche o anche umoristiche e caricaturali. L’arte così personale e soggettiva di Debussy compì una rivoluzione epocale, che percorse molti orientamenti delle più significative espressioni musicali della prima metà del ‘900.
Dopo uno sventato tentativo di suicidio, imputabile forse alla separazione dalla prima moglie, Rosalie Texier, egli sposò in seconde nozze Emma Moyse, divorziata da un ricco bancheire. Ne nacque uno scandalo clamoroso, che gli alienò molte amicizie.


Debussy e la moglie, in seconde nozze, Emma



Al conseguente senso di isolamento, si aggiunsero, poco dopo, le sofferenze provocate da un tumore maligno e dagli orrori del primo conflitto mondiale. Ciononostante, i suoi ultimi anni di vita furono attivi e fecondi: compose infatti la Suite “Iberia” per orchestra, le due serie di “Images” per pianoforte, i due libri di “Preludi” (1905 e 1907), le musiche di scena per “Le Martyre de Saint Sebastien” (su testo di D’Annunzio), il balletto “Jeux” per il grande ballerino e coreografo russo Vaslav Nijinskij, ed infine le tre sonate per violoncello e pianoforte (1915), per flauto, viola ed arpa (1917). Morì nel 1918. Aveva 56 anni. 




Wanda Gianfalla Anselmi
Pescara Settembre 2016

















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