Anche
se la “teoria dei dodici suoni” è ormai un “ classico” mi fa
piacere ricordarne il significato, a chi volesse accostarvisi o
riviverne la fondamentale funzione storica.
Gli
anni del secondo conflitto mondiale (1939-'45) segnano in netto
distacco tra i prodotti delle generazioni musicali che avevano
operato nella prima metà del XX secolo , e quelli dei musicisti nati
dopo il 1920. In altra sede, si è accennato all'importanza che,
negli anni Cinquanta del Novecento, assunsero i Corsi estivi di
Darmstadt ( “FERIENKURSE FUR INTERNATIONALE NEUE MUSIK”),
laboratorio
internazionale organizzato da STEINECKE per incontri, discussioni ed
esecuzioni di composizioni radicalmente avanguardistiche, sia nella
struttura che nella grafica e nella tecnica strumentale.
In
tale contesto, l'esperienza dodecafonica occupò un posto di primo
piano, grazie anche all'azione divulgativa già precedentemente
intrapresa da RENE' LEIBOWITZ (musicologo, direttore d'orchestra e
compositore di origine polacca, ma morto a Parigi nel 1972), che, da
accanito sostenitore della musica dodecafonica, aveva pubblicato,
alla fine degli anni Quaranta, importanti scritti sull'argomento
(“SCHOENBERG ET SON 'ECOLE”, 1946 e “INTRODUCTION 'A LA MUSIQUE
DE DOUZE SONS”, 1949), presentando e dirigendo personalmente in
tutto il mondo opere di ARNOLD SCHOENBERG e dei più grandi discepoli
della sua “scuola”. Vale forse la pena ricordare che SCHOENBERG
fu l'iniziatore e il protagonista delle più radicali rivoluzioni mai
avvenute in campo musicale; data, poi,la sua spiccata vocazione alla
teoria e all'insegnamento,egli assunse “naturalmente”, e
conserva, un'incontestata funzione di caposcuola, vivificata e
“illustrata”, a sua volta, da una imperiosa creazione artistica.
Partito
dall'esperienza dell'arricchito cromatismo post wagneriano,
SCHOENBERG- attraverso il travaglio della dissoluzione di ogni nesso
armonico e della tonalità- ricostruì un nuovo ordine
, basato sull'organizzazione seriale dei dodici suoni della scala
cromatica, procedendo con una inflessibile logica, fatta anche di
rigorosa tensione morale e di profondi valori di fede, che
alimentarono la sua vita e ne vivificarono l'impegno. Anche se non
usò mai il termine “ATONALE”, da lui ritenuto improprio, né il
termine “DODECAFONIA” ( sostituito dall'espressione” metodo di
composizione con dodici suoni, liberamente scelti dall'autore, in
relazione solo tra loro”), egli procedette, di fatto, alla
disgregazione di quel sistema ormai lacerato, corroso e obsoleto che
era la “tonalità”, e alla conseguente emancipazione della
dissonanza, organizzando però, contro ogni pericolo di anarchia, gli
elementi di un nuovo linguaggio, nel quale le dodici note del “totale
cromatico” vengono proposte e disposte in tutte le possibili
combinazioni “logiche” della serie: verticali, orizzontali,
inverse,retrogradi, retrogradi delle inverse e infine anche speculari
e circolari, come nella gigantesca opera “MOSES UND AARON”,
rappresentata postuma a Zurigo nel 1957.
Tra
le composizioni ispirate a tali presupposti compositivi (in cui
nessun suono deve prevalere sugli altri, per non rischiare che esso
torni a ricoprire il ruolo della tonica!), spiccano le “SERENATE”
op. 24, la “SUITE PER PIANOFORTE” op.25, il “WALZER” op.23,
“il QUINTETTO” per fiati op.26, e sopratutto le “VARIAZIONI
per ORCHESTRA “, op. 31 del 1928.
Anche
il suo modo di trattare la voce, di solito accompagnata da pochi
strumenti, fu innovativo. Egli adottò infatti lo “SPRECHGESANG”
cioè un tipo di emissione tra il parlato e il cantato, con assoluto
rispetto del ritmo, ma con continue oscillazioni tra il grave e
l'acuto che creano un'atmosfera allucinata, di incerta e solitaria
inquietudine, carica di suggestioni emotive. Considerando,poi,
fondamentalmente l'arte come veicolo sentimenti e di forme
irrazionali che agitano l'uomo, SCHOENBERG si colloca consapevolmente
nell'angosciosa realtà della corrente espressionistica, che trova
peraltro abbondante riscontro anche nel clima allucinato dei suoi
dipinti.
Due
grandi discepoli lo seguirono nella sua coraggiosa “avventura”
musicale, ALBAN BERG e ANTON WEBERN, ucciso, quest'ultimo, casualmente
e per errore da un soldato americano: due talenti,peraltro,
assai
diversi tra loro e assolutamente originali: più lirico ed espressivo
l'uno (cui non furono estranei recuperi tonali), più essenziale ed
aforistico l'altro. La comunanza di intenti fra i tre compositori, la
loro amicizia e la stretta collaborazione , hanno indotto i critici a
definirli globalmente la “ SCUOLA DI VIENNA”.
-SCHOENBERG
si sforzò sempre di adattare i principi della serialità
all'esperienza di comunicare con il pubblico; opere dai toni
particolarmente forti, come l'”ODE A NAPOLEONE” (contro la
tirannide) o la cantata “UN SOPRAVVISSUTO DI VARSAVIA” (
rievocante lo sterminio nazista del ghetto di Varsavia), lo
confermano ampiamente.
-SCHOENBERG,
nato a Vienna nel 1874, si era trasferito a 17 anni a Berlino, dove
nel 1925 succedette a BUSONI, come professore della cattedra
superiore di composizione presso l'Accademia Prussiana delle Arti.
Dopo il 1933, anno in cui, in Germania, Hitler prese il potere, fu
allontanato dall'insegnamento, ed emigrò con la famiglia negli USA,
come moltissimi altri protagonisti del mondo dell'Arte. Ma prima di
lasciare definitivamente l' EUROPA, egli, benché battezzato
cattolico, decise in segno di protesta contro il nazismo, di
riabbracciare la religione ebraica.
Nel
1935 fu invitato ad insegnare presso l'Università della California e
cinque anni dopo ottenne la tanto sospirata cittadinanza americana.
Continuò a comporre fino agli ultimi giorni di vita.
Morì
a Los Angeles nel 1951.
Wanda Gianfalla Anselmi
Pescara Novembre 2016
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