Il
30 marzo 1282, all’ora del vespro, scoppiò a Palermo una violenta insurrezione
popolare contro la dominazione angioina,
che evidentemente da tempo covava nel cuore dei siciliani.
L'opera
di Hayez rappresenta il momento iniziale dei vespri siciliani, la
rivolta popolare che si ebbe in Sicilia nel 1282 contro la dominazione degli Angioini francesi, nata da un'offesa che, in concomitanza con la
funzione serale dei vespri del 30 marzo 1282, lunedì di Pasqua, sul sagrato della chiesa del Santo
Spirito, a Palermo, un soldato francese di nome Drouet arrecò
ad una nobildonna che stava uscendo di chiesa al termine del suo matrimonio
Propagatasi
in breve tempo in tutta l’isola, l’insurrezione provocò l’abbandono della
Sicilia da parte degli Angioini. Ciò diede modo a Pietro III d’Aragona, figlio
di Giacomo I, di impossessarsi a sua volta della Sicilia, con l’aiuto, militare
ed economico, delle repubbliche marinare di Venezia e Genova, nonché
dell’imperatore bizantino Michele Paleologo. La guerra scoppiata tra Angioini e
Aragonesi, nota come “Guerra del Vespro”, durò con alterne vicende per diversi
anni, e si concluse con la Pace di Caltabellotta, firmata il 31 agosto 1302.
Con
essa, la Sicilia fu assegnata a Federico d’Aragona, figlio e successore di
Pietro III, alla morte del quale sarebbe dovuta tornare agli Angioini. Ma gli
Aragonesi non rispettarono le clausole stabilite nel contratto, e conservarono
il dominio dell’isola. Pietro III, anzi, che intanto era riuscito, grazie ad
un’abile politica estera, a inserire l’Aragona in una rete di alleanze
internazionale (fra cui quella con l’Inghilterra), sbarcò in Sicilia e si fece
incoronare re, dando così inizio all’influenza spagnola nelle vicende storico-
politiche d’Italia.
L’eroico
tentativi dei siciliani, di liberarsi dal giogo straniero che li opprimeva,
costituì un fulgido esempio di amore per la libertà, e ritornò di grande
attualità nell’epico periodo del Risorgimento italiano. Ed ecco Verdi, che del
Risorgimento stesso fu acceso fautore, accettare la proposta di scrivere una
partitura di soggetto storico, per inaugurare l’Esposizione universale di
Parigi!
Già
dai tempi di “Nabucco”- che gli aveva aperto le porte di tanti importanti
teatri- il nome di Verdi veniva automaticamente unito, nell’Italia
risorgimentale, ai moti per l’unità e l’indipendenza, e perciò Cavour, consapevole del suo peso politico, lo aveva convinto a presentarsi candidato al
primo Parlamento italiano (1861), per il collegio dell’allora Borgo S. Donnino,
oggi Fidenza. Dopo un primo rifiuto Verdi accettò e fu eletto, ma frequentò la
camera raramente e con irregolarità, pur essendo stato accolto, al suo ingresso
al Parlamento, da un fragoroso applauso. In quell’occasione conobbe Quintino
Sella, futuro risanatore delle finanze italiane.
Quando
accettò di comporre “Les Vêspres Siciliennes” per l’ Opéra di Parigi, egli
aveva poco più di 40 anni, e aveva raggiunto la piena maturità di uomo e di
musicista, unità ad una fama ormai affermatasi anche al di là delle Alpi. Con
quest’opera, composta due anno dopo “La Traviata”, su libretto di Eugène Scribe
e Charles Duveyrier, Verdi olle
riaccostarsi al genere drammatico a forti tinte, nel carattere del “Grand
Opéra”.
La
sincerità dell’ispirazione verdiana superò facilmente l’artificiosità piuttosto
pesante del libretto di Scribe, e l’opera, rappresentata il 13 giugno 1855
all’Opéra di Parigi, ebbe un tale successo, che Verdi fu ufficialmente invitato
a trasferirsi definitivamente nella capitale francese, cosa che egli non
accettò. L’anno successivo (4 febbraio 1856), l’opera fu rappresentata, con
eguale successo, alla Scala di Milano, al titolo di “Giovanna di Guzman”.
Ricordarne
brevemente la trama varrà a rammentare il messaggio patriottico del grande
musicista, che veniva progressivamente arricchendo la propria tavolozza
armonica e orchestrale, introducendo un’umanità di affetti che comunicava al
canto passioni accese e concrete, conquistava un linguaggio sempre più moderno
ed aggiornato, affinava la scrittura vocale,
seguiva lo sviluppo civile e culturale della società italiana in uno dei
momenti più epici e delicati della sua storia.
Preceduta
da una solenne e famosa “Sinfonia”, il primo atto presenta Elena (sorella del
duca Federico d’Austria, già giustiziato dai francesi) Arrigo, giovane
siciliano,e Giovanni da Procida, esule appena tornato a Palermo; essi cercano
l’occasione per stimolare una rivolta popolare contro i francesi. Si inserisce
in tale contesto la romanza più famosa dell’opera, “O tu, Palermo, terra
adorata”, con cui, all’inizio del secondo atto, entra in scena appunto la
figura di Procida (basso). Ispirata a commossa tenerezza, la romanza prescinde
momentaneamente dell’ “animus” rivoluzionario del personaggio, per dar voce
piuttosto alla commozione dell’esule, che, tornando a casa, rivede finalmente
la patria! Una vera squisitezza armonica è costituita, nella sezione centrale,
dall’ impercettibile trapasso della tonalità di sol bemolle a quella di fa
maggiore (e viceversa), senza che alcuna interruzione si noti nel corso della
melodia.
Prerogativa
del “Grand Opéra” erano i grandiosi concertati a più voci, senza i quali
l’opera parigina non concepiva un “degno” finale dell’atto. Si ha così lo
spettacolare finale del secondo atto, fondato su un contrasto di indubbia
efficacia teatrale: mentre, sulla spiaggia, i siciliani, offesi per il torto
delle loro spose, manifestano sentimenti di indignazione di vendetta, avanza
nel mare una splendida imbarcazione, dove ufficiali francesi e nobildonne sia
francesi che siciliane si divertono, adagiati su morbidi cuscini,cantando una
dolce barcarola.
Ma,
al di la di questo scintillante finale, autentica “chicca” da Grand Opéra, bisogna
fermare l’attenzione anche sulla scena che lo precede, anch’essa un vasto
insieme vocale, con un “concertato d’azione” di grande originalità. È la scena
della costernazione in cui restano i siciliani dopo che i soldati francesi
hanno portato via le loro donne. Qui Verdi rivela la conquista di un forte
realismo drammatico della parola, più noto come “uso della parola scenica”.
Con
i primi due atti dell’opera, si esauriscono i laboriosi, e talvolta macchinosi
tentativi di descrizione ambientale e di presentazione dei personaggi. Le prime
tre scene del terzo atto mantengono infatti la presenza costante di un
personaggio, Guido di Monforte, governatore francese di Palermo, padre di
Arrigo, ma ignoto al figlio, del quale egli vorrebbe conquistarsi l’affetto,
mentre l’odio di parte li separa. Nella lunga e affollata “galleria” dei padri
verdiani, spesso strumento di rovina per i figli (come Giacomo per Giovanna
d’Arco, come lo stesso Rigoletto per Gilda o Alfredo Germont per violetta, come
il Marchese di Calatrava, Filippo II o Amonasro), Monforte si inserisce con una
propria nobiltà. Il personaggio esce da ogni schematizzo melodrammatico, per
acquisire fierezza e indipendenza caratteriale, spessore e complessità
psicologica.
Arrigo,
saputo di essere figlio di Monforte, durante un drammatico confronto, avverte
il padre della congiura contro i francesi, e il complotto fallisce. Elena,
Procida e gli altri congiurati sono condannati a morte. Ma successivamente
Monforte, implorato da Arrigo, che gli si rivolge finalmente in tono filiale,
non solo perdona i congiurati, ma acconsente anche alle nozze di Elena col
figlio. Ella, apprendendo da Procida che la campana nuziale sarà il segnale
dell’insurrezione, soffre all’idea di essere causa di tanta strage e vorrebbe rinunciare
all’amore di Arrigo. Ma è troppo tardi: davanti alla storica Cattedrale di
Palermo, i “Vespri” si consumano, violenti e sanguinosi.
Così
Verdi- dopo molti ripensamenti, nel corso dei quali fu più volte tentato di
rinunciare alla stesura dell’opera, che non sentiva a se particolarmente
congeniale, dopo la creazione di figure immortali come Rigoletto, Violetta o
Azucena, capaci di vivere di vita propria- dava vita ad un nuovo capolavoro, in
cui la grandiosità tutta francese dell’effetto scenico si fonde mirabilmente
con l’umanità sofferta dei personaggi principali, la cui “sincerità” è
sottolineata da melodie immortali e da vivo senso patriottico.
Wanda Gianfalla Anselmi
Pescara Giugno 2016
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