Il
giovane Debussy
Nella seconda metà dell’Ottocento,
il progressivo declino del melodramma fu seguito da un auspicato
rinnovamento della musica strumentale, sancito dalla fondazione, nel
1871, della “Società Nazionale per la Musica Francese” e,
successivamente (nel 1894), dalla “Schola Cantorum”, istituzione
scolastica che, in una più o meno esplicita contrapposizione al
Conservatorio, rivoluzionava lo studio del canto gregoriano.
Fondatori o membri della “Società
Nazionale” francese furono musicisti illustri, quali il
“wagneriano” César Franck, il più “accademico” Camille
Saint- Saëns e Gabriel Faurè, direttore del Conservatorio di
Parigi, “artista della squisitezza e del buon gusto”.
Contemporaneamente, sempre nella
capitale francese, si svilupparono, rispettivamente nella pratica
della pittura e della poesia, due movimenti artistici che ben presto
si rivelarono momenti fondamentali della cultura umanistica europea:
l’Impressionismo e il Simbolismo.
L’Impressionismo, che trovò voce ed
espressione in Manet, Monet, Degas, Renoir, Pissarro ed altri,
valorizzava l’impressione immediata e istantanea dell’artista di
fronte il soggetto, spesso ritratto “en plen air”, in condizioni
ideali di luce, volto a valorizzare e a rendere vitale il colore,
dotato di differenti vibrazioni nelle diverse ore del giorno.
L’occhio del pittore coglieva la sensazione visiva di un insieme di
colori, non tanto fusi e sfumati, quanto avvicinati e sovrapposti
sulla tela, a mò di macchia.
“Le
ninfee” di Manet
In poesia, il coevo movimento del
Simbolismo, rompendo i tradizionali nessi logico- sintattici, mosse i
primi passi con le “Correspondences” di Charles Baudelaire, che
proponevano ed evocavano immagini poetiche assai ricche di
suggestione, tali da essere percepite con tutti i sensi. Nella sua
“Art Poétique”- non a torto considerata il “manifesto” della
nuova tendenza poetica- Paul Verlaine collocò all’apice dell’Arte
la musica, assegnando al resto una semplice funzione di
“letteratura”.
“La
musique avant toute chose. Tout le rest est litérature…”
I Simbolisti infatti ( Verlaine,
Rimbaud, Mallarmé, Maeterlinck, Claudel, Valéry) teorizzarono una
poesia dalla forte valenza fonosimbolica, da anteporre i diretti
valori significanti, in grado da evocare ricordi e suggestioni
emotive che, nascendo dalla sensazione fisica del vago e
dell’indeterminato, tendessero a farsi musica, realizzando così un
magro punto di incontro tra percezione fisica e uditiva, in nome di
tutto ciò che è tenue, intimo, prezioso e raro. L’uso del verso
libero, non condizionato da obbligo di rime o da strutture
metriche precostituite, contribuì notevolmente al raggiungimento del
nuovo fine poetico.
Dotato di una sensibilità per natura
assai viva e coloristica, Achille Claude Debussy ( Saint Germain –
en Laye, 1862- Parigi, 1918) si fece interprete, in musica, di tali
nuove tendenze artistiche, dando vita ad un’arte che coglie
sensazioni preziose ed evanescenti, profumi, sottili ebbrezze e “modi
di essere” fugaci e cangianti della natura.
Essa rifiuta ogni schema formale, ogni
regola “costituita” di composizione, le norma “grammaticali”
della tonalità, ogni ordine imposto da “regolari” modulazioni.
Le armonie, strane ed inusitate, si giustappongono senza
preparazione, rinnovandosi continuamente ed obbedendo alla momentanea
ispirazione, mentre i ritmi si rinnovano senza sosta, moltiplicandosi
e incrociandosi in un fascinoso gioco, cangiante e mobilissimo.
La voce, sia nell’opera (“Pelléas
et Mélisande”, 1902, assoluto capolavoro del teatro musicale
moderno, su libretto di Maurice Maeterlinck), sia nelle numerose
liriche, si snoda come un’ininterrotta declamazione, duttile e
morbida, basata su piccoli intervalli melodici e sorretta da una
soffice trama sinfonica, cui è affidato lo sviluppo melodico,
accompagnato a sua volta, da un tessuto armonico le cui attrazioni
tonali sono neutralizzate o rese ambigue dall’uso delle scale
modali, esatonali, pentafoniche e per toni interi.
Per la lotta combattuta, già
all’interno del Conservatorio di Parigi, contro ogni dogma
accademico ed ogni valore “formale” prestabilito, per il gusto di
un discorso musicale assaporato nei suoi singoli momenti,
indipendentemente da un “prima” e un “dopo”, l’arte di
Debussy è stata battezzata e consacrata col nome di “Impressionismo
musicale”, al fine di stabile ed evidenziare un parallelismo atta a
collegarla con il coevo movimento pittorico. Tale definizione,
tuttavia, seppure valida per una fase dell’opera del musicista
[fase che si conclude con il “Pelléas” e comprende, come opere
orchestrali, il “Prélude à l’après-midi d’un faune”, con
il suo splendido “a solo” iniziale per flauto, e i “Nocturnes”
(1897- 1899) e tra le opere vocali, i “Cinc poémes de
Baudelaire”, le “Fêtes Galantes” su poesie di Verlaine, le
“Chansons de Bilitis” su poesie di Louys e il giovanile
“Quartetto d’archi” (1893)], non può essere applicata a tutta
la produzione del grande musicista francese, il quale, a partire dai
primi anni del ‘900, si accostò ad un senso più classico della
costruzione, accentuando anche la precisione e la netta chiarezza,
propria della produzione clavicembalistica francese. Tale passaggio è
contrassegnato da colori meno evanescenti e costruzioni più solide,
rispetto alle tinte trasparenti e sfumate ed agli “agglomerati
sonori” dei precedenti lavori cameristici, strumentali e sinfonici.
Nelle opere della maturità, Debussy pervenne infatti la totale
rifiuto del sistema gerarchico dell’armonia tonale, e ad un uso
degli strumenti sempre più attento e selezionato, con in’evidente
predilezione per la fluidità sonora dell’arpa ( con gli armonici e
i “glissando”), la celesta, lo xilofono e gli ottoni, cui vengono
tuttavia richieste ed affidate sonorità ovattate e colori di fondo,
più che i classici “squilli”.
L’ideale melodico di Debussy evita
ogni appassionata effusione del sentimento, identificandosi piuttosto
nell’arabesco, in notazioni raffinate e sottili, ora fantastiche,
ora drammatiche, ora leggendarie, ora paesistiche o anche umoristiche
e caricaturali. L’arte così personale e soggettiva di Debussy
compì una rivoluzione epocale, che percorse molti orientamenti delle
più significative espressioni musicali della prima metà del ‘900.
Dopo uno sventato tentativo di
suicidio, imputabile forse alla separazione dalla prima moglie,
Rosalie Texier, egli sposò in seconde nozze Emma Moyse, divorziata
da un ricco bancheire. Ne nacque uno scandalo clamoroso, che gli
alienò molte amicizie.
Debussy e
la moglie, in seconde nozze, Emma
Al conseguente senso di isolamento, si
aggiunsero, poco dopo, le sofferenze provocate da un tumore maligno e
dagli orrori del primo conflitto mondiale. Ciononostante, i suoi
ultimi anni di vita furono attivi e fecondi: compose infatti la Suite
“Iberia” per orchestra, le due serie di “Images” per
pianoforte, i due libri di “Preludi” (1905 e 1907), le musiche di
scena per “Le Martyre de Saint Sebastien” (su testo di
D’Annunzio), il balletto “Jeux” per il grande ballerino e
coreografo russo Vaslav Nijinskij, ed infine le tre sonate per
violoncello e pianoforte (1915), per flauto, viola ed arpa (1917).
Morì nel 1918. Aveva 56 anni.
Wanda Gianfalla Anselmi
Pescara Settembre 2016