In
qualità di membro fondatore dell'Associazione Culturale Libere Note
di Palermo, ho pensato di inaugurare una sorta di rubrica mensile, a
sfondo culturale e musicale, volta a mettere in luce alcuni aspetti
della cultura siciliana in genere, e palermitana in particolare, che
abbiano lasciato traccia nella storia. L'idea è nata in me sia per
il carattere stimolante dell'iniziativa, in un momento di prevalente
“buio” culturale, sia per l'affetto pluriennale e fraterno che
nutro nei confronti di LORETO INSINNA, presidente dell'Associazione
stessa, e di tutta la sua famiglia.
Ho
pensato di dedicare il primo piccolo lavoro alla “Scuola poetica
siciliana”, che nacque alla corte di Federico II di Svevia, spesso
significativamente indicata come la “Magna Curia “.
Il
personaggio, di Federico II, immortalato anche da Dante, nacque a
Jesi, nelle Marche, nel 1194, figlio di Arrigo VI e di Costanza d'
Altavilla. Re di Sicilia e poi di Germania, nel 1220 ottenne dal
nuovo papa Onorio III, la corona imperiale, nonostante la
tradizionale ostilità pontificia all'istituzione imperiale.
Scomunicato
nel 1226, guidò due anni dopo una spedizione in Terrasanta, in cui
recuperò Gerusalemme, trattando personalmente con il Sultano. In
Germania lasciò grande autonomia alla feudalità a scapito della
piccola nobiltà, e pose il centro della sua politica in Sicilia, cui
diede un governo burocraticamente accentrato e un “corpus legum”
che va sotto il nome di “Costituzione di Melfi”(1231).
Egli
aggregò intorno a sa molteplici forme di sapere ad esperienze di
scritture legate a lingue e tradizioni di diversa origine.
La
sua corte fu prevalentemente itinerante, poiché seguiva l'imperatore
in tutte le sue imprese militari e diplomatiche.
Federico
diede un forte impulso alle conoscenze tecniche e scientifiche e
favorì lo svolgersi di una letteratura poetica latina, di una
cultura filosofica e figurativa di impronta arabo-normnna, di un
sapere greco-bizantino e di una cultura tedesca. Autentico esempio di
Cosmopolitismo” ante litteram”, meritò non a caso l'epiteto di
“STUPOR MUNDI”!
Nel
vivacissimo ambiente della Palermo del tempo, meravigliosa nella sua
ricchezza monumentale, si sviluppò una nuova LIRICA CORTESE IN
VOLGARE. Gli autori furono in prevalenza funzionari del governo
imperiale, o personaggi comunque legati alla struttura
giuridico-amministrativa della corte. Essi decisero di trasformare,
nel “volgare siciliano” i modelli della lirica provenzale e
francese dei Trovatori e Trovieri. Dalle piccole corti di Provenza,
la poesia amorosa passava così ad una corte di più vaste dimensioni
e ambizioni, perdendo i riferimenti della vita quotidiana, per
trasferirsi su un piano più astratto, più nobile ed intellettuale.
La
lirica siciliana, che svolge essenzialmente funzione sociale, pone
al centro la donna come “domina”, da servire con dedizione, ma
senza quel sofferto pathos della distanza, tipico invece di alcuni
poeti provenzali.
Nel
cantare il suo rapporto con la donna, il poeta accresce il proprio
valore, mentre il suo impegnarsi nella fedeltà lo rende socialmente
più degno.
La
forma poetica più usata, in tal ambito è la canzonetta; il primo e
maggiore esponente della Scuola poetica siciliana fu il notaro
GIACOMO (o JACOPO) da LENTINI, funzionario imperiale, probabile
inventore del “Sonetto”, sottile sperimentatore, dotato di
acutissima “sapienza” sia metrica che retorica.
Tra
i numerosi poeti “siciliani”- non tutti obbligatoriamente nati
nell'isola, ma accomunati dagli stessi ideali estetico -letterari-
vanno ricordati: lo stesso Federico II (autore del “DE ARTE
VENANDI”, un trattato sulla caccia), il suo sfortunato figlio
naturale RE ENZO, fratello di Manfredi e vicario imperiale, vinto dai
bolognesi a FOSSALTA (1249) e da loro tenuto prigioniero fino alla
morte. Ed ancora: il celebre PIER DELLE VIGNE (logoteta
dell'imperatore, morto suicida nel 1249, dopo essere stato
ingiustamente accusato di tradimento e imprigionato), GUIDO DELLE
COLONNE, giudice messinese, STEFANO PROTONOTARO, i fratelli JACOPO e
RINALDO D' AQUINO e GIACOMO PUGLIESE.
La
morte di Federico II, nel 1250, e il conseguente crollo della Casa di
Svevia, sfaldarono a poco a poco la gloriosa corte meridionale e
distrussero quell'ambiente di raffinata poesia. Negli anni compresi
tra il 1250 e il 1260, si ebbe un vero e proprio”trapianto”
della lirica volgare nelle nuova Italia comunale, e in particolare in
Toscana, dove spiccò la figura di GUITTONE D'AREZZO, che ebbe fama e
fortuna di autentico caposcuola.
La parodia “dell'amore cortese”
Il “Contrasto di Cielo D' Alcamo
Conservato soltanto nel Codice Vaticano Latino n. 3793, ma noto anche
a Dante, il Contrasto di CIELO( forse diminutivo di Michele) D'ALCAMO
“ROSA FRESCA AULENTISSIMA”, anch'esso noto in ambiente siciliano
databile negli anni 1230-1240, vede il contrapporsi di forme auliche
e di situazioni del genere comico-grottesco.
Esso è costruito come un dialogo tra il giullare ed una fanciulla,
che prima reagisce duramente al corteggiamento dell'uomo , ma poi
cede alle sue insistenze.
L'autore rivela un eccezionale dominio delle formule linguistiche
“cortesi”. La composizione è una parodia dell'amor cortese, in
cui balzano in primo piano il desiderio sessuale, la menzogna,
l'inganno, l'aggressività, e i modesti oggetti della vita familiare
e quotidiana.
Wanda Gianfalla Anselmi
Pescara, febbraio 2016